“…dovresti andare ad aprire…”
Quel rumore… non sono nocche che bussano, ma il passo delicato e sinistro di una lama che striscia su una superficie troppo liscia.
Qualcuno è la fuori, forse due… forse di più. Pochi secondi per rimettere in ordine immagini e pensieri, nel mare di emozioni frantumate da un’onda anomala di adrenalina.
Manca poco, la porta è leggera, vecchia, è sicura come il preambolo di una guerra.
Raccolgo quello che serve, concentrazione mentale e un lungo sospiro, immaginando una potente nube di ossigeno che mi attraversa anche l’anima, affilo la vista e serro i denti fino a provocare un leggero e pungente dolore.
Di armi ne ho tante, qualsiasi cosa può essere un’arma, persino l’aria che respiro… la migliore resta la volontà.
La lama smette per pochi secondi di torturare il vetro, un poetico satinato che sfoca a dovere la follia di una violenza non ancora annunciata.
Il silenzio trafigge i timpani e racimolo come posso la calma. Penso di sbagliare nell’attendere la prossima mossa, ma il tempo del dubbio si dissolve con eleganza ipersonica e toglie il disturbo in quanto il pugnale dell’autoinvitato comincia a scalfire il cristallo.
Mi preparo, spengo la luce. Ho sempre avuto paura del buio ma il riflesso dell’illuminazione esterna mi permette di aspettare in sicurezza il nemico. Lo accolgo e lo rispetto perché non perdo più tempo e vado ad aprire la porta.
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